..ATLANTIDE..l’isola perduta..

Se si prova a cercarla su una carta geografica non si riesce a trovarla da nessuna parte. Eppure quella di Atlantide è forse l’isola più famosa del mondo. La sua storia, affascinante e misteriosa, è stata narrata tanto tempo fa, e precisamente nel IV secolo prima di Cristo, dal filosofo greco Platone in uno dei suoi” dialoghi”, ma è molto più antica. Ecco che cosa dice. “Al di là di quello stretto di mare chiamato le colonne d’Ercole, c’era una volta una grande isola chiamata Atlantide. L’isola era governata da dieci re, i discendenti del dio del mare Poseidone, ed era ricca di metalli e foreste, di animali selvatici e domestici, di spezie, frutti e legumi. La sua capitale, dominata da un’ alta montagna, era popolata da favolose dimore, palazzi e templi rivestiti d’oro, d’argento e d’avorio.

 La circondavano tre fossati circolari recintati da alte mura e il suo grandissimo porto formicolava di mercanti e di navi provenienti da ogni parte del mondo. I re erano modelli di saggezza e di bontà per tutto il popolo e per generazioni la vita sull’isola trascorse in pace, concordia e grande prosperità. “Ma con il passar del tempo la corruzione prese a regnare nel felice mondo di Atlantide e gli uomini si fecero avidi e crudeli. Allora Zeus, il sovrano degli dei, decise di impartire un severo castigo: mandò terremoti e inondazioni e, nello spazio di un giorno e di una notte tremendi, la potente e immensa isola si inabissò in mare e scomparve per sempre”.

Alla ricerca dell’isola perduta.

Il racconto di Platone ha un tono di tale drammatica veridicità che per secoli gli appassionati di misteri si sono posti la stessa domanda: se l’isola continente che il filosofo descrive grande come “Libia e Asia messe insieme” è esistita realmente, dove poteva mai sorgere? Molti hanno creduto di trovare una risposta e così, di volta in volta, l’hanno immaginata nei luoghi più impensati: naturalmente nel bel mezzo dell’Atlantico, ma anche in Iugoslavia e in Francia, in Mongolia e nell’Iran, a Malta e in Brasile, in Messico e in Groenlandia. Quando però sono entrati in campo gli scienziati  geologi e archeologi in testa  nessuna delle cento Atlantidi ha retto alla loro verifica. Tanto meno quella indicata da Platone al di là delle colonne d’Ercole (cioè oltre lo stretto di Gibilterra): in nessun punto infatti i fondali dell’ Atlantico hanno rivelato traccia di una possibile terra sprofondata in seguito a un cataclisma così imponente.Ma un giorno un archeologo greco, Spyridon Marinatos, ebbe un’idea: forse Platone stesso, che aveva raccolto l’antica storia di Atlantide da un sacerdote egizio, non sapeva dove sorgesse la mitica terra. E forse, per descrivere la fine, aveva preso spunto da un avvenimento che si era verificato assai più vicino a casa sua di quanto volesse far credere.

Nel Mediterraneo, e più precisamente nel Mar Egeo, esisteva infatti un’isola, chiamata Thera, che mille anni prima, cioè nel 1628 avanti Cristo, aveva subìto una catastrofe naturale terribile. Al centro di Thera (oggi conosciuta anche con il nome di Santorino) sorgeva una immensa montagna che dominava una città ricca e splendente, fra le più potenti dell’epoca. Una città che doveva corrispondere perfettamente alla descrizione, fatta da Platone, della capitale di Atlantide, con il suo porto fiorente che dominava il mare.

Una catastrofe di 3.500 anni fa. Ma la montagna che dominava Thera non era una montagna qualunque: era un vulcano che spesso lanciava segnali minacciosi: borbottii, pennacchi di fumo, scrolloni e tremori prolungati. Gli abitanti dell’isola non si preoccupavano molto del vulcano. Il mare intorno era pescoso, i campi fertili, il clima mite e i commerci andavano a gonfie vele: cosa si poteva desiderare di più dalla vita? Un giorno però i borbottii divennero boati e i pennacchi di fumo nuvole gigantesche e poi cascate di fuoco. Tutta l’isola si scuoteva dal profondo delle viscere e il mare ribolliva in ondate gigantesche. Gli uomini capirono che la fine era vicina: raccolsero le loro cose più preziose, le misero sulle barche e presero il mare. Quasi tutti riuscirono a mettersi in salvo. I pochi che non erano fuggiti per tempo non sapevano a quale dio votarsi. Sembravano formiche impazzite quando il formicaio prende fuoco. E poi accadde. Il vulcano scoppiò letteralmente, la terra sprofondò nel mare e da una sola grande isola si formò un arcipelago a forma di mezzaluna. L’esplosione  hanno calcolato gli scienziati  fu paragonabile a quella di due milioni di bombe atomiche!

La catastrofe ebbe ripercussioni spaventose: una spessa coltre di ceneri si depositò fino a 1.000 chilometri di distanza e l’isola di Creta, che si trova a un centinaio di chilometri a sud di Thera, fu spazzata da un maremoto fra i più terribili della storia. Ancora oggi a Santorino si vedono chiaramente le conseguenze del cataclisma: strati di pomice alti quattro metri, depositi di ceneri bianche di uno spessore che varia dai 18 ai 24 metri e la forma stessa dell’isola: una mezzaluna al centro della quale ancora spunta un piccolo cono vulcanico che emette ogni tanto inquietanti sbuffi di fumo. E poi, soprattutto, c’è Akrotiri, un piccolo centro a sud dell’isola. Qui gli scavi di Marinatos hanno portato alla luce la testimonianza più preziosa: una città con strade e case a due e tre piani decorate da splendidi affreschi. Conservati in modo straordinario come in una Pompei del Mar Egeo. I loro autori erano davvero gli atlantidi? Forse non lo sapremo mai con certezza, ma non importa. Chi ci vuol credere è libero di farlo. Gli altri possono continuare a sognare di imbattersi un giorno nel mitico continente scomparso.